Il giudice Algis Budrys Ecco un bellissimo esempio di classica distopia fantascientifica: un mondo futuro rigidamente stratificato in classi separate da un ferreo codice sociale, in cui il giudice è anche il freddo esecutore materiale delle sue sentenze. Chi ce lo propone è Algis Budrys, un veterano della fantascienza degli anni cinquanta (e questo romanzo breve appartiene al suo periodo migliore), un autore noto per alcuni suoi ottimi romanzi come Michaelmas (Progetto Terra), Incognita uomo e Rogue Moon, ma che ha prodotto anche un’incredibile quantità di bellissimi racconti ingiustamente dimenticati. Algis Budrys Il giudice Nella tarda mattinata, poco prima di mezzogiorno, Samson Joyce sedeva in una sedia pieghevole situata dietro l’alto seggio di granito dei giudici che fronteggiava la piazza. Tra pochi minuti avrebbe salito i gradini per raggiungere la sommità dalla quale si sarebbe affacciato e, in piedi dietro il solido parapetto, avrebbe guardato il recinto degli Imputati nella piazza. In questo momento stava controllando la sua pistola. Toccò il cursore, guardò la culatta che si apriva e l’estrattore che avanzava con la sua punta di metallo. L’otturatore si ritrasse con uno scatto, esitò, e scattò in avanti. Prese uno straccio di seta e tolse l’olio in eccesso, spargendolo in uno strato sottile ed uniforme sul metallo. Tolse le cartucce dal caricatore, oliò il meccanismo, e ricaricò. Fece tutto questo con la cura paziente che gli veniva da una lunga pratica. Il sole aveva giocato per tutta la mattina tra le nuvole, e a tratti soffiava un leggero vento. Gli stendardi e le bandiere delle famiglie si agitavano irrequiete. La giornata era incerta. Quella pistola era la sua preferita: una Grennel 15 mm a gas che aveva fin dai tempi in cui era stato Giudice Aggiunto ad Utica. Si adattava perfettamente alla sua mano, dopo tutti quegli anni, Non era una di quelle anticaglie ingioiellate, placcate e incise che ci si poteva aspettare di vedergli usare nei grandi processi di New York o Buffalo. Era semplicemente una pistola: svolgeva la funzione per cui era stata costruita, con efficienza e precisione, e la usava ogni volta che gli era possibile. Non era niente di speciale, ma non falliva mai. Si accigliò, guardandola. Era turbato da sciocchi sentimenti che avrebbe preferito non provare affatto. Un tempo, quando era stato un ventenne, aveva guardato avanti. Ora aveva più di cinquant’anni e, quando volgeva lo sguardo dietro di sé, ciò che vedeva era un po’ meno soddisfacente di quanto si fosse aspettalo. Sollevò il capo e guardò i tre uomini che quel giorno erano stati designali Giudici Aggiunti camminare verso di lui provenienti dall’albergo. Bianding con la sua valigetta, Pedersen con la sua valigetta e Kallimer con il suo cipiglio. Il grosso labbro inferiore di Joyce accennò ad un fuggevole sorriso divertito che scomparve subito senza lasciare traccia. Tutti e tre erano più giovani di quanto non fosse stato lui ad Urica e tutti e tre avevano fatto molta più strada. Bianding era Giudice Aggiunto qui a Nyack, il che significava che con il suo prossimo incarico avrebbe abbandonato i sobborghi per la città vera e propria. Pedersen stava aspettando i risultati delle elezioni primarie di Manhattan per ottenere la conferma ufficiale. Dopo di che avrebbe occupato il suo seggio nel Corpo Legislativo. E Kallimer era Giudice Speciale Aggiunto del Giudice capo dello Stato Sovrano di New York, signor Samson Ezra Joyce. Forse era lo sforzo di ricordare il suo titolo che gii dava sempre quell’aspetto cupo, che gli corrugava le sopracciglia e il naso ossuto. O forse stava assaporando dentro di sé il suono di «Giudice Capo dello Stato Sovrano di New York, signor Etan Benoni Kallimer». Erano tutti e tre giovani fortunati, avviati a una carriera promettente. Ma, essendo giovani, non erano capaci di godersi la loro buona sorte. Joyce indovinò quello che stavano provando mentre si dirigevano verso di lui. Pensavano che fosse un vecchio sciocco intrattabile, un conservatore irriducibile nel modo in cui amministrava la giustizia… e che i giovani avessero maggiori capacità. Pensavano che Joyce volesse vivere in eterno, senza lasciare alcuna possibilità agli altri. Erano sicuri che lui pensasse di essere l’unico adatto ad indossare la Toga di Giudice Capo. E lo chiamavano il Vecchio Gambe Storte tutte le volte che lo vedevano in calzamaglia. Ad ogni processo si presentavano con la loro valigetta, completa di pistola. Ognuno di loro aspettava il giorno in cui Il Messire avrebbe revocato il verdetto umano, e quindi fallibile, di Joyce. Ci sarebbe stato un nuovo Giudice Capo e promozioni in tutta la scala gerarchica. Fece scattare il cursore, annuì soddisfatto e reinseri il caricatore. In trent’anni di attività, Il Messire non aveva annullato i suoi verdetti neppure una volta. C’era andato vicino (Joyce aveva più di una cicatrice), ma, in pratica, non aveva fatto altro che sollevare un’obiezione prima di convalidare la decisione di Joyce. Blanding, Pedersen e Kallimer, nei loro semplici abiti neri, con i bianchi polsini di pizzo, si fermarono di fronte a lui. Uomini tetri. Invidiosi… persino Pedersen, che stava per lasciare la magistratura. Uomini impazienti. Joyce ripose la sua pistola. Uomini giovani, che non si rendevano conto della fortuna di avere ancora una meta da raggiungere ed un sogno da realizzare. Che non intuivano che toccava agli uomini giunti al vertice, agli uomini che avevano raggiunto la meta, rivolgere incessantemente tutti i loro sforzi alla conservazione dell’ideale; coloro che, con l’aiuto del Messire, lavoravano ogni minuto della loro vita per mantenere immacolato lo scopo della loro esistenza. I giovani non capivano, perché non avevano ancora raggiunto la cima, che la gioia stava nella lotta e il compito più duro nel mantenimento di quella vittoria. I giovani servivano l’ideale, senza mai chiedersi che cosa mantenesse questo ideale ben saldo ed elevato. Un giorno l’avrebbero imparato. — Buon giorno, Giudice — dissero, quasi in coro. — Buon giorno Giudici. Mi auguro che abbiate dormito bene. Dal rumoreggiare degli spettatori, immaginò che l’Imputata fosse stata portata in piazza. Era interessante notare il cambiamento nelle voci della folla nel corso degli anni. Ultimamente era diventato facile distinguere il rumore che proveniva dai palchi delle famiglie dal chiasso della gente, che era di un’intera ottava più basso. Joyce guardò l’orologio della torre. Restava ancora qualche attimo. Insoddisfazione? Che cosa provava? Immaginò se stesso mentre cercava di spiegare ad uno di questi giovani quello che provava e… sì, «insoddisfazione» era la parola che avrebbe usato. Ma questo non sarebbe successo. Blanding era troppo giovane per fare qualcosa che non fosse schernire il vecchio sciocco dalle gambe storte e le caviglie gonfie. Pedersen era fuori dalla mischia. E Kallimer, naturalmente, di cui Joyce rispettava l’intelligenza, era troppo intelligente per ascoltare. Aveva le sue idee. Joyce si alzò. Toccò l’immagine del Messire nascosta sotto il colletto, aggiustò l’abito e la parrucca e si volse verso i suoi collaboratori. Nel farlo, lasciò che il suo sguardo si posasse per un attimo sull’Imputata, per la prima volta. La donna era in piedi nel suo banco, in attesa. Solo un’occhiata, prima che lei potesse rendersi conto che Joyce aveva compromesso la sua dignità guardandola. — Bene, Giudici, è ora. Si soffermò un istante e poi li segui su per gli scalini che avrebbero messo a dura prova le sue caviglie. Per prima cosa, Blanding doveva rinunciare al proprio diritto di giudicare il caso, dal momento che rientrava nella sua giurisdizione. Joyce, in piedi da solo sulla sezione centrale rialzata della piattaforma, si sporse leggermente in avanti, finché le cosce non toccarono la fredda pietra del banco, alleggerendo un poco il peso sulle caviglie. Dalla piazza sottostante nessuno l’avrebbe notato. Guardando la parete grigia della facciata esterna del banco, tutto ciò che si sarebbe potuto vedere era il busto dei quattro uomini: due in nero, uno leggermente più in alto con la sua veste sgargiante e poi un altro uomo in nero. Quest’ultimo era Blanding, che in quel momento girò intorno all’estremità del banco, dirigendosi verso la piattaforma sospesa che fungeva da tribuna del magistrato nei processi ordinari, e si fermò, magro, immobile, nero, svettante al di sopra della piazza. Joyce ringraziò la brezza. L’abito, ricamato e decorato, era pesante, e lo spesso colletto unito al collare lo stavano già facendo sudare abbondantemente. Eppure non rimpiangeva di essere venuto a Nyack. A New York e Buffalo, i processi erano un’ostentazione di cerimoniale, affollati da funzionari di seconda importanza e da un elaborato protocollo nei confronti delle Prime Famiglie. Qui a Nyack non c’erano né funzionari né Prime Famiglie. La cerimonia del processo poteva essere ridotta ai suoi aspetti essenziali, semplici ma di grande effetto. Blanding avrebbe letto i capi d’accusa, Pedersen avrebbe tenuto il verbale, e Kallimer… Kallimer avrebbe aspettato per vedere se Il Messire approvava. Joyce guardò la folla sotto di lui. L’oro, lo scarlatto, e l’azzurro dei palchi di famiglia colpirono i suoi occhi. Vide il riflesso della luce sugli anelli e sugli orecchini, i colori caldi e tenui delle gorgiere delle dame. Il popolo era una massa cupa, vestita con colori scuri e spenti che erano entrati in voga da poco. Joyce si rese conto che, senza quel contrasto, i membri della famiglia non sarebbero stati così appariscenti nei loro palchi. Ma quella era solo una digressione frettolosa che gli attraversava la mente come un uccello irrequieto al tramonto. Blanding gli aveva comunicato che il popolo provava un insolito interesse per il caso. Guardando in basso, vide infatti che la folla era numerosa. Joyce udì chiaramente Blanding trarre un profondo respiro prima di iniziare. Quando parlò, lo fece lentamente, e gli altoparlanti incassati nel banco di pietra resero la sua voce grave e sonora. — Popolo di Nyack… La folla si fece subito silenziosa, tutti fissavano la figura eretta, nera ed immota che li sovrastava. Questa era la giustizia, pensò Joyce come faceva sempre all’inizio di un processo, calandosi nell’atmosfera. Questa era la personificazione dell’ideale; la figura dritta e inflessibile; la voce grave. — La Corte di Giustizia di Nyack, dello Stato Sovrano di New York è ora in seduta. Blanding non gli piaceva, rifletté Joyce, guardando il giudice che si voltava verso di lui con un braccio teso. Pedersen gli piaceva e Kallimer lo metteva a disagio. Ma erano insieme in questo processo. Questa era una cosa che trascendeva la personalità e l’umanità. Il Messire, loro quattro, le famiglie e il popolo: insieme, quello che facevano oggi rappresentava il loro retaggio ed il loro vincolo. Il loro baluardo contro la barbarie. Il gesto di Blanding era durato a sufficienza. — Presiede il Giudice Joyce, Giudice Capo dello Stato Sovrano di New York. Ci fu uno scroscio di applausi eccitati da parte delle famiglie. Si erano aspettati, naturalmente, che fosse lui a presiedere un processo di tale natura, ma erano ugualmente eccitati. Questo era il marchio ufficiale, il riconoscimento della loro importanza e dell’importanza del caso. Joyce abbassò il capo in segno di riconoscimento. — Il Giudice Kallimer, Giudice Capo Aggiunto. Joyce notò che gli applausi per Kallimer erano più scarsi. Ma d’altra parte, qui era conosciuto a malapena. Veniva da Waverly, una zona remota della nazione, al confine con la Pennsylvania. Le sue qualità erano note all’Associazione Forense, ma finché non avesse presieduto qualche processo nella regione dello Hudson, sarebbero stati in pochi a ricordare il suo nome. — Giudice Pedersen, addetto al Verbale. Pedersen ricevette più applausi di Kallimer, perché era un giudice della Città di New York. Joyce non permise che un lieve sorriso gli affiorasse sulle labbra. In fondo era Kallimer il suo successore, anche se Pedersen non avesse abbandonato la magistratura. Kallimer non era tipo che cercasse di compiacere la folla, ma si era ben comportato a Waverly e avrebbe potuto mostrare le sue doti anche qui, se necessario. Joyce aspettò che si creasse un silenzio sufficientemente carico d’attesa. Poi sollevò il capo. — Che il processo abbia inizio. Ci fu un altro scroscio di applausi. Quando terminò, lui si voltò verso Blanding. — Il Giudice Blanding esporrà il caso. — Anche il tono di Joyce era profondo e maestoso. In parte era dovuto agli amplificatori, che svolgevano la loro invisibile funzione all’interno del banco, ma la voce scaturiva principalmente da lui, immerso nell’atmosfera del processo, mentre irrigidiva la schiena e spostava tutto il suo peso sulle caviglie. Il capo era eretto e il sangue scorreva con ritmo lento e regolare nelle vene, all’unisono con l’atto gratificante del processo. Blanding guardò il banco degli Imputati. — Il caso di Anonimo contro Clarissa Jones. E il caso del Popolo dello Stato Sovrano di New York contro Clarissa Jones. Ora Joyce poteva guardare l’Imputata. Era evidente che la donna non riusciva a controllarsi, perché stringeva con forza la ringhiera davanti a sé. Poi si voltò verso Pedersen. — Giudice Pedersen, qual è stato lo svolgimento di questo caso? — Signor Giudice, la querela di Anonimo è stata ritirata alla luce del superiore diritto del Popolo. Anche questo faceva parte della procedura. Una volta che il crimine veniva portato all’attenzione del Giudice, la querela originaria veniva ritirata. Altrimenti si sarebbe dovuto rivelare apertamente in tribunale il nome del membro querelante della famiglia. Joyce tornò a rivolgersi a Blanding. — Il Giudice Blanding procederà all’esposizione de! caso del Popolo. Blanding si fermò e trasse un altro profondo respiro. — Noi, Popolo dello Stato Sovrano di New York accusiamo Clarissa Jones di aver tentato di usurpare un posto non suo; di aver deliberatamente e dolosamente usato le astuzie del suo sesso per ottenere il riconoscimento da un membro di una famiglia, membro minorenne e qui designato come Anonimo. Accusiamo inoltre Clarissa Jones, donna del Popolo, di aver fomentato l’anarchia… L’atto d’accusa continuò. Joyce osservò il viso dell’Imputata, notando che, nonostante la tensione emotiva, riusciva a mantenere un comportamento corretto, senza lasciarsi andare a gesti od esclamazioni inutili. La ragazza aveva carattere. Fu compiaciuto della sua riservatezza; le interruzioni distruggevano il ritmo del processo. Avrebbe comunque avuto la possibilità di appellarsi. Si voltò verso Pedersen inarcando le sopracciglia con aria interrogativa. Pedersen gli si avvicinò, tenendosi a debita distanza dal raggio del microfono. — La ragazza era l’amante del giovane Normandy. Lui ha una residenza estiva qui sul fiume — sussurrò. — Il figlio di Joshua Normandy? — chiese Joyce con una certa sorpresa. — Esatto — rispose Pedersen con una smorfia. — Avrebbe dovuto essere più furbo e fare controllo su di lei. Ha un certo numero di parenti nelle locali Corporazioni artigiane ed anche altri agganci. Joyce si accigliò. — Le relazioni illegittime non significano niente. Pedersen alzò la spalla che non era rivolta verso la folla. — Legalmente no. Ma in pratica il Popolo ha cominciato a riconoscere queste cose. Ho sentito che le coppie usano l’appellativo di marito e moglie quando sono fra gruppi della loro stessa gente. So che queste cose non hanno peso in un tribunale — continuò in fretta, — ma sembra che la ragazza fra di loro sia una specie di aristocratica. Potrebbe essere naturale per lei dare per scontati certi privilegi. Normandy contesta alla ragazza il fatto di averlo avvicinato per strada chiamandolo per nome. Be’, in questo si era spinta un po’ troppo in là. Pedersen accennò un sorrisetto d’intesa. — Si — rispose brusco Joyce, mentre le guance gli si gonfiavano per la rabbia. — Ha proprio esagerato. I più giovani non capivano. Potevano sorridere davanti a queste cose. Joyce no. Il fatto che si trattasse solo di una ragazza innamorata e avventata non faceva alcuna differenza. Quello che si doveva giudicare in quel luogo era la situazione legale, con le emozioni umane ad essa collegate. Secoli addietro, Il Messire aveva creato questa società, parlando per mezzo dei suoi Profeti, ed era questa società che Joyce stava difendendo qui, proprio come centinaia di Giudici la difendevano ogni giorno in tutto il Paese. Vi erano individui degni di matrimonio e individui che non lo erano. Alcuni con le capacità mentali per governare, amministrare, giudicare e scegliere i malati da guarire e altri che non avevano tali capacità. Il concetto che tutti gli uomini fossero uguali, era stato da lungo tempo screditato. I crudi fatti della vita dimostravano che il talento e le capacità mentali erano ereditari. Alcuni esseri umani erano più adatti di altri a giudicare che cosa fosse meglio per l’intera razza umana, ma con il matrimonio senza restrizioni, queste qualità superiori correvano i! grave rischio di indebolirsi. Cercare di causare l’estinzione della gente comune sarebbe stato impossibile, il mare non si prosciuga con la carta assorbente. Ma era possibile costruire delle dighe. Dalle ceneri e dalle fiamme del Ventunesimo Secolo, Il Messire aveva dato una risposta, e la Legge. La Legge era la diga che separava la gente comune dalle sorgenti costituite dalle famiglie. Attraverso i suoi Profeti, Il Messire aveva ordinato le Prime Famiglie ed esse a loro volta ne avevano scelte delle altre. A tutte queste venne dato il sacramento del matrimonio e l’eredità del nome e delle proprietà per i loro figli. Per secoli, le famiglie si erano conservate; i loro componenti avevano sempre scelto mogli e mariti tra individui del loro stesso genere. Non era necessario impedire al resto del popolo di avere figli. Il lavoro di tutti i giorni non richiedeva né talento né intelligenza superiore. Da molti anni ormai non si era più resa necessaria l’applicazione forzata della Legge del Messire. Non che la gente fosse empia o eretica. Piuttosto, come esseri umani, erano inclini a commettere degli errori. Nelle loro menti non disciplinate, il significato e lo scopo della Legge a volte perdevano chiarezza. Ma nonostante questa naturale condiscendenza, se il giovane Normandy fosse stato più sciocco e non avesse dato peso all’incidente, alcuni membri del popolo avrebbero potuto erroneamente essere indotti a ritenere che tale comportamento fosse ammissibile. Si sarebbe creato un precedente. E se in seguito dopo quello, si fosse lasciato impunito qualche altro errore, ci si sarebbe allontanati di un altro passo dalla Legge. E poi un altro passo ancora… L’anarchia. E la diga sarebbe stata ulteriormente erosa. Joyce guardò l’Imputata con aria torva. Avrebbe preferito che non fosse una ragazza. Blanding finì di leggere i capi d’accusa e si fermò, rivolgendo un cenno a Joyce. Joyce abbassò ancora lo sguardo sull’Imputata, in parte per studiarla con maggiore attenzione, ed in parte perché questo conferiva importanza al suo giudizio. Il tremito della ragazza confermò la sua prima impressione. Non aveva senso andare per le lunghe. La conclusione più rapida era la migliore. — Grazie, Giudice — disse a Blanding. Si rivolse all’Imputata. — Ragazza, abbiamo sentito le accuse. Il Giudice Blanding ripeterà ora il cerimoniale del Processo, in modo che nella tua mente non rimangano dubbi riguardo ai tuoi diritti. — Il Messire è tuo giudice — le disse Blanding in tono solenne. — Il verdetto che qui emetteremo non è definitivo. Se desideri appellarti, è a Lui che devi rivolgerti. La folla si agitò, come sempre giunti a questo punto. Joyce vide molti toccare l’immagine che portavano al collo. — Prenderemo una decisione sul tuo caso, e ognuno di noi valuterà separatamente il grado della tua colpevolezza. Quando avremo raggiunto un verdetto, le nostre opinioni individuali stabiliranno quale grado di appello terreno ti sarà concesso. Joyce lanciò una rapida occhiata alla ragazza. Stava guardando Blanding, con le mani strette intorno alla ringhiera del suo banco, e con le braccia tese. — Se il tuo caso è stato travisato di fronte a questa Corte, Il Messire interverrà in tuo favore. Se sei innocente, non hai nulla da temere. Finita la sua esposizione, fece una pausa e guardò al di sopra delle teste della folla. Joyce fece un passo indietro e vide che Pedersen e Kallimer stavano guardando le sue mani, nascoste alla vista della folla. Lui segnalò un verdetto di «Completamente Colpevole». Dare alla ragazza un’arma con cui difendersi sarebbe stato ridicolo. Se per caso le fosse riuscito di sparare, l’avrebbe senz’altro mancato, e magari avrebbe ferito qualcuno tra il pubblico. Era meglio liquidare il caso rapidamente, e con efficienza. La cosa doveva finire qui. Con sua grande sorpresa, vide che Kallimer gli rispondeva con il segnale di «riesaminare». Joyce lo guardò. Si sarebbe aspettato una cosa simile da Blanding, ma un uomo dell’intelligenza di Kallimer avrebbe dovuto trarre le giuste conclusioni. Forse l’Associazione Forense aveva agito saggiamente assegnandogli questo processo invece di lasciare che fosse qualche giudice minore ad occuparsene. Aveva avuto dei dubbi, ma questo li cancellava. Senza guardare Kallimer, ma mostrandogli chiaramente la sua rabbia con i muscoli della mascella contratti, Joyce segnalò «Categorico!». Kallimer sospirò impercettibilmente, e la sua «acquiescenza» venne confermata dalle dita piegate, come se volesse trasmettere nel contempo la propria rassegnazione. Ancora furioso, ma cercando di controllare la voce, Joyce tornò a guardare di fronte a sé. — Giudice Blanding, avete raggiunto un verdetto? — Mosse leggermente la spalla sinistra. Blanding, dal suo posto sulla tribuna, si voltò e vide il segnale. — Riconosco l’Imputata completamente colpevole, signor Giudice — disse. Nell’assoluto silenzio che sempre calava sulla piazza durante la proclamazione di un verdetto, Joyce si rivolse a Pedersen. — Completamente colpevole, signor Giudice. Joyce si voltò verso Kallimer. Le labbra dell’uomo si contrassero in un debole sorriso sardonico. — Completamente colpevole, signor Giudice. Joyce guardò l’Imputata. — Anch’io ti riconosco completamente colpevole, secondo l’accusa — disse. — Non ti sarà concessa un’arma con cui fare un appello terreno. Puoi solo rimetterti alla clemenza del Messire. Prego che il nostro verdetto sia giusto. Fece un passo indietro, mentre un nuovo scroscio di applausi si levava dai palchi delle famiglie, lieto di aver fatto del suo meglio. Fino ad ora era stato un buon processo. Anche la ribellione di Kallimer era stata visibile solo sul palco. Per quello che ne sapeva la folla, l’unanimità e la maestà della giustizia erano state rispettate. Si voltò e scese adagio i gradini della piattaforma nel silenzio profondo che avvolgeva la piazza. Era stato un buon processo. L’Associazione Forense l’avrebbe descritto minuziosamente e ne avrebbe sottolineato l’importanza negli Archivi Riservati e, a distanza di generazioni, i Giudici più anziani avrebbero letto il resoconto, notando come l’azione di Joyce avesse stroncato l’attacco incipiente a questa cultura e civiltà. Ma non era questo il pensiero più importante nella mente di Joyce. Quello che avrebbero detto gli uomini a secoli di distanza, non aveva un grande significato per lui. Quello che faceva accelerare sempre più i suoi battiti mentre scendeva i gradini, girava intorno all’angolo del palco ed entrava nella piazza, era la consapevolezza che i suoi contemporanei (gli altri Giudici dell’Associazione Forense, uomini arrivati anch’essi al vertice e quindi consci del peso di quel fardello) avrebbero riconosciuto che lui non era venuto meno all’ideale. Si fermò appena prima del Terreno del Processo e fece un gesto agli addetti intorno all’Imputata. Questi le tolsero i vestiti per accertarsi che non avesse un’armatura o un arma nascosta e poi si fecero da parte. Joyce fece l’ultimo passo che lo portò sulla Pedana del Giudice, dove gli altoparlanti amplificarono la sua voce. — L’Imputata avanzi per presentare il suo appello. Lasciando il banco la ragazza inciampò ed un debole mormorio di disappunto si levò dai palchi di famiglia. Non era una buona Entrata. Ma era un fatto trascurabile. Abbassò la mano e la pistola uscì dalla fondina con un fluido movimento del braccio che si fuse con un mezzo giro del corpo, trasformando in un cilindro perfetto la sua toga dal collo fino all’orlo. Si sollevò leggermente sulle punte dei piedi e vi furono grida isolate di «Bravo!» dai palchi di famiglia, e si levò anche un più sommesso «eccellente», che era tutto quello che uno zoppo poteva meritare, per quanto il movimento del braccio fosse stato perfetto. L’Imputata era in piedi, pallida in viso, sulla Pedana dell’Appello. Con il braccio teso, Joyce attese di pronunciare la sentenza finale. Stava invecchiando. Gli rimanevano ancora pochi processi. Un giorno non troppo lontano, ad un verdetto di «Probabilmente Colpevole», nel caso l’Imputato avesse una pistola carica, Il Messire avrebbe forse revocato la sentenza. Non a causa della sua lentezza fisica. La zoppia e l’esitazione nell’estrarre l’arma sarebbero stati solo un sintomo della progressiva lentezza della sua mente. Non avrebbe interpretato correttamente il caso. Joyce lo sapeva, se lo aspettava e lo accettava, semplicemente. Un Giudice che pronunciasse un verdetto sbagliato meritava la stessa pena di un membro del popolo riconosciuto colpevole. Per il momento, questo era l’ideale supremo. — Sei stata riconosciuta completamente colpevole dei capi d’imputazione. — disse, ascoltando le antiche parole che si riversavano nella piazza. — Questa Corte non ti accorda la grazia. Appellati al Messire. L’Imputata lo fissò con gli occhi spalancati, il viso pallido. Non vi era la certezza che stesse pregando, ma Joyce ne era convinto. La giustizia confidava nel Messire. Egli conosceva i colpevoli e gli innocenti; puniva gli uni e proteggeva gli altri. Joyce era solo il Suo strumento e il Processo era solo l’opportunità per manifestare il Suo giudizio. Gli uomini potevano giudicarsi a vicenda ed approvare una sentenza. Ma gli uomini potevano essere saggi o stolti nelle loro decisioni. Questa era la natura fallibile dell’Uomo. Questa era la prova; a questo punto l’Imputato pregava Il Messire per l’infallibile e definitivo giudizio. Questo era il Processo. Il suo dito si strinse sul grilletto mentre il braccio si abbassava lentamente, protendendosi in avanti. Ora anche Joyce pregava il Giudice Supremo, domandandogli se avesse dato prova di saggezza, se ancora una volta avesse agito bene. Ogni processo era anche il suo Processo. Questo era il suo contatto con Il Messire. Questa era la Verità. Qualcosa volò turbinando sopra la folla silenziosa e cadde ai piedi della ragazza. Era una pistola, e lei si gettò per afferrarla. Mentre lei la raccoglieva, Joyce seppe di aver perso il proprio vantaggio. I suoi riflessi erano lenti, e aveva perso due secondi decisivi fermandosi a guardare l’arma, come paralizzato. Scosse la testa per allontanare la momentanea sorpresa. Ignorò il rumore confuso e l’agitazione della folla. Concentrò tutta la sua attenzione sulla ragazza e sulla pistola. Per quel che lo riguardava, in quel momento lui e la ragazza erano soli in un universo privato, cercando entrambi di soffocare il panico per il tempo sufficiente ad agire. Joyce aveva perso la mira e il braccio si era abbassato al di sotto della linea di tiro. Lo rialzò, combattendo l’impulso di farlo con un movimento troppo rapido. Se avesse mancato il primo colpo, non ci sarebbe stata la possibilità di spararne un secondo. In ogni modo quel sistema di mira era migliore di quello convenzionale. Non lasciava spazio all’elaborazione: non aveva né grazia né bellezza, ma era un sistema di mira più sicuro. Il colpo sparato dalla ragazza lo prese al braccio e la sua mano schizzò in aria per l’impatto. Le dita furono sul punto di perdere la presa sul calcio, e Joyce le strinse convulsamente. La ragazza stava armeggiando con la pistola, facendo qualcosa alla piastra dell’impugnatura. L’arma di Joyce sparò in aria ed egli sentì una fitta al braccio per il contraccolpo. Vide che la ragazza era agitata e confusa quanto lui. Strinse con la mano sinistra l’avambraccio ferito e lo abbassò. Prima che lei potesse sparare ancora, la sua arma esplose un colpo che la fece cadere all’indietro sul terreno. Era morta, senza dubbio. Trasse un profondo respiro. La pistola fu sul punto di scivolargli tra le dita, ma lui la afferrò con la mano sinistra e la rimise nella fondina. Lentamente, ricominciò a percepire il mondo intorno a sé. Divenne conscio delle grida rabbiose della folla e degli addetti che lottavano per tenerli a freno. C’era un capannello di gente intorno a uno dei palchi di famiglia, ma prima che potesse farsi un’idea, Kallimer gli mise un braccio intorno alla vita e lo sostenne. Non si era neppure reso conto che stava oscillando. — Non possiamo preoccuparci della folla — disse Kallimer con voce strana. Il tono era pressante, ma calmo. Non dava segni di isteria e Joyce provò una certa ammirazione. — Avete visto chi ha lanciato l’arma? — domandò Joyce. Kallimer scosse il capo. — No. Non ha importanza. Dobbiamo tornare a New York, Joyce guardò in alto verso la piattaforma. Blanding non si vedeva, ma Pedersen, aggrappandosi con le mani al bordo del banco, si lasciò cadere a terra. Si chinò, prese la valigetta che aveva lanciato prima, la aprì ed estrasse la sua arma. Quella era un’idiozia. Che cosa credeva di fare? — Joyce! — Kallimer cercò di trattenerlo. — Sto bene! — scattò Joyce. Cominciò a correre verso Pedersen prima che quello sciocco potesse commettere qualche gesto inconsulto. Mentre correva, capì che Kallimer aveva ragione. Loro tre dovevano tornare a New York il più rapidamente possibile. L’Associazione Forense doveva essere informata. Pedersen sedeva nell’angolo più lontano dello scompartimento del treno, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata al pannello come se stesse ascoltando il rumore del pantografo che correva lungo il cavo aereo. Solo Il Messire sapeva che cosa stesse realmente ascoltando. Il suo volto era pallido. Joyce si girò rigido verso Kallimer, ostacolato dall’ingessatura e dalla benda che gli teneva il braccio al collo. Il Giudice Aggiunto stava guardando dal finestrino e né lui né Pedersen aveva detto una parola da quando erano saliti sul treno un quarto d’ora prima. In quel momento c’era ancora dell’agitazione sulla piazza. Avevano dovuto aspettare il treno per venti minuti. Questo significava che erano passati più di tre quarti d’ora da quando tutto era cominciato e Joyce ancora non sapeva esattamente che cosa fosse successo. Dell’incidente aveva solo delle impressioni sconnesse, e non riusciva a trovare un significato all’accaduto, anche se sapeva che doveva essercene uno. — Kallimer. Il Giudice Aggiunto distolse lo sguardo dal finestrino. — Cosa? Joyce fece un gesto, consapevole di non riuscire a trovare le parole adatte. — Volete sapere com’è successo, vero? Joyce annui, sollevato per non aver dovuto formulare la domanda. Kallimer scosse il capo. — Non lo so con esattézza. Qualcuno nella folla si è sentito coinvolto al punto da lanciare la pistola alla ragazza. Uno dei suoi parenti, suppongo. — Ma… — Joyce fece un cenno senza riuscire a parlare. — Era… era un’esecuzione legale. Chi interferirebbe con la giustizia? Chi rischierebbe la dannazione eterna opponendosi alla palese volontà del Messire? Dal suo angolo, Pedersen emise uno strano suono. Kallimer gli lanciò un’occhiata indecifrabile. Si voltò di nuovo verso Joyce e sembrò cercare le parole. — Joyce — disse alla fine, — secondo voi il Messire come avrebbe potuto cambiare un verdetto di «Completamente Colpevole»? Joyce corrugò la fronte. — Be’… non so. La mia pistola avrebbe potuto incepparsi. O avrei potuto sparare e mancare inesplicabilmente il bersaglio. — Non lo sapete con certezza perché non e mai accaduto. Dico bene? — In sostanza, sì. — Ora. Quanti verdetti di «Apparentemente Colpevole» sono stati rovesciati, quando all’Imputato veniva data un’arma con un colpo in canna? — Pochi. — Ma non è mai successo a nessun Giudice che voi conoscete, vero? Joyce scosse la testa. — No, ma ci sono dei casi documentati. Pochi, come ho detto. — Molto bene. E nei casi di «Probabilmente Colpevole»? Sono stati molti i verdetti revocati? — Un numero apprezzabile. — Qualcuno è capitato anche a voi, vero? — Qualcuno. — Molto bene. — Kallimer sollevò una mano, piegando un dito per ogni punto da esaminare. — Ora… Per primo abbiamo il caso in cui l’Imputato è disarmato. Nessun cambiamento. Poi il caso in cui l’Imputato ha un colpo a disposizione. Qualche cambiamento. E infine i casi in cui l’Imputato ha un’arma uguale a quella del Giudice che presiede la Corte. Un apprezzabile numero di verdetti ribaltati. — Non vi sembra, Giudice Joyce, che questi dati statistici potrebbero verificarsi anche senza l’intervento della Volontà Divina? Joyce lo fissò, ma Kallimer non gli diede la possibilità di parlare. — Inoltre, Joyce, il popolo ha il diritto di portare armi? Voglio dire, riuscite ad immaginare un Imputato che sia in grado di maneggiare e sparare con un’arma automatica? La risposta… siete stato voi a chiedermelo… la risposta è no. — E ancora: si è mai sentito che Il Messire abbia cambiato un verdetto di «Non Colpevole»? Joyce si adirò. — Non più di una volta nello stesso anno! Kallimer storse la bocca. — Lo so. Ma succede. E allora spiegatemi questo: come si concilia la Volontà Divina con il fatto curioso che i verdetti di «Completamente Colpevole» e «Non Colpevole» non vengono mai cambiati, né lo sono mai stati, anche se Il Messire sa quanto ci siamo andati vicini oggi? Sostenete forse che in questi casi, tutti i Giudici vissuti fino ad ora abbiano sempre avuto ragione? State cercando di insinuare che i comuni mortali sono infallibili, una prerogativa che è soltanto del Messire? Il viso di Kallimer era carico di emozione, e Joyce ebbe la netta impressione che il Giudice Aggiunto stesse parlando con foga eccessiva; ma la sua voce era sempre controllata. — Signor Joyce, se non riuscite a capire dove voglio arrivare, mi spiace. Ma state certo che qualcuno tra la folla, dopo tanti anni, l’ha finalmente capito. Qualcuno che non aveva paura del Messire. — Kallimer girò la testa di scatto e guardò dal finestrino l’Hudson che scorreva come un nastro d’argento molto più in basso, mentre il treno si dirigeva verso la sponda orientale. — Non sono sicuro che Pedersen non avesse ragione nel voler estrarre la sua arma. E signor Joyce, se quello che ho detto non vi ha scosso, credo che avrebbe dovuto scuotervi, invece. Kallimer trasse un profondo respiro e sembrò calmarsi un poco. — Signor Joyce — disse piano, — credo che ci sia qualcosa a cui non avete pensato. Immagino che non vi farà piacere saperlo. «Vorrei parlare in termini a voi familiari… non dovete cedere di un millimetro, anzi dovete attenervi rigidamente ai vostri principi per apprezzare in pieno l’impatto della cosa… osservate la cosa dal vostro punto di vista; Joyce, voi non riuscite ad immaginare come Il Messire potrebbe ribaltare un verdetto ingiusto di «Completamente Colpevole». Ma il Messire è onniscente e onnipotente. Le sue vie sono complesse e inconoscibili. Giusto? E allora, come fate a sapere che quello che è successo oggi non sia stato un assaggio del modo in cui Egli agisce? Il sangue defluì dal viso di Joyce. Quella sera tardi Emily lo guardò sorpresa quando gli aprì la porta. — Sam! Ma non hai mai… — tacque. — Entra, Sam. Mi hai colto di sorpresa. Joyce le diede un bacio sulla guancia ed entrò nervosamente nell’appartamento. Sapeva di averla sorpresa. Non andava mai a trovarla la sera dopo un processo; doveva averlo notato, visto che erano insieme da quindici anni. Mentre andava da lei aveva considerato il problema, ed aveva deciso che l’unica cosa da fare era di comportarsi come se non fosse successo nulla. Pensò che una donna, in quanto tale, avrebbe scrollato le spalle e non ci avrebbe pensato più dopo i primi istanti. Probabilmente, dopo un po’, avrebbe anche cominciato a dubitare della propria memoria. — Sam, che cosa ti è successo al braccio? Joyce si voltò e vide che era ancora in piedi accanto alla porta, con i bigodini nei capelli ed una vestaglia addosso. — Il Processo — tagliò corto. Attraversò la stanza, prese una pera da un cesto e la addentò. — Ho fame — disse con finta energia. Lei sembrò ricomporsi. — Certo, Sam. Preparerò qualcosa. Ci metterò un attimo. Scusami. — Andò in cucina, lasciandolo solo nella semioscurità che circondava l’unica lampada accesa vicino alla porta. Con pazienza, fece scattare tutti gli interruttori delle altre lampade nella stanza e continuò a mangiucchiare la pera, facendola rimbalzare sul palmo della mano tra un morso e l’altro. Udì Emily che metteva una pentola sul fuoco. Si mosse di scatto ed entrò in cucina, fermandosi poco oltre la soglia e lasciando cadere la pera nello scivolo dei rifiuti. — Finita — disse per giustificare la propria presenza. Si guardò intorno. — Posso fare qualcosa? Emily lo guardò con espressione incredula e divertita. — Sam, che cosa ti ha preso? Joyce si fece scuro involto. — Che cosa c’è che non va se vengo a trovare la mia ragazza? Con quelle parole la sua espressione tornò serena. Guardò Emily, che era di nuovo china sui fornelli. Quindici anni che le avevano sfumato i capelli, avevano aggiunto qualche ruga sulla fronte ed intorno alla bocca. Ed avevano aggiunto un bel po’ di peso sui fianchi e sulla vita. Ma da lei emanava una sensazione di conforto e di serenità. Lui poteva infilare la chiave nella serratura a qualunque ora della notte e lei avrebbe udito il rumore e gli sarebbe corsa incontro. La strinse a sé e sentì un dolore al braccio, ma in quel momento non importava. La abbracciò e le prese la nuca fra le mani. Il calore e la sicurezza che lei sapeva emanare fecero sì che Joyce la stringesse con fin troppa forza. Si trovò a desiderare all’improvviso di non dover mai più tornare al suo ascetico appartamento. Emily fece un piccolo sorriso e lo baciò su di una guancia. — Sam, che cosa è successo? Ho sentito l’esito dei processi alla radio oggi pomeriggio e per quello di Nyack si sono limitati a dire che si era concluso felicemente con un verdetto di «Completamente Colpevole». C’è stato qualche guaio di cui non hanno voluto parlare? Il malumore tornò e lui lasciò ricadere le braccia. — Che genere di guaio? — chiese brusco. Emily spalancò gli occhi e lo guardò di nuovo con sorpresa. — Non intendevo niente di particolare, Sam. Solo i soliti guai… sai, come un colpo fortunato da parte dell’Imputato… — lanciò uno sguardo al suo braccio ferito. — Ma questo non può capitare con un imputato disarmato. Joyce fece un sospiro rabbioso. — Pensavo che questo fosse chiaro fra di noi — disse con una voce che suonò troppo irritata persino alle sue stesse orecchie. — Fin dall’inizio. Avevo detto chiaramente che ognuno di noi ha il suo campo d’azione. Se non te ne parlo, puoi intuire che è mio desiderio che tu non lo sappia. Emily fece un passo indietro e riprese ad occuparsi dei fornelli. — Va bene, Sam — disse a voce bassa. — Mi dispiace. — Sollevò il coperchio della pentola. — La cena sarà pronta fra un attimo. Ci sarà da fare qui quando tutte le pentole cominceranno a bollire. — Aspetterò in soggiorno — Joyce si voltò e uscì. Camminò avanti e indietro sul tappeto, le labbra contratte, conscio ora del dolore al braccio. Un’altra ferita. Un’altra obiezione da parte del Messire. Alla fine tutto era andato bene, ma pur sempre un’altra obiezione, e che cosa significava? E l’Associazione Forense. — Un’udienza! — borbottò. — Un’udienza generale domani! Come se il suo rapporto non fosse stato sufficiente. Aveva raccontato quello che era successo, sarebbe dovuto bastare. Ma Kallimer, con le sue insinuazioni che dietro quell’incidente poteva esserci dell’altro… Va bene, il giorno dopo si sarebbe occupato di Kallimer. Emily entrò in soggiorno. — La cena è pronta, Sam. — Lei fece attenzione a controllare la voce e l’espressione del viso. Non voleva provocarlo di nuovo. Era offesa e a lui non piaceva vederla così. All’improvviso, Joyce rise e le mise un braccio intorno alle spalle, stringendola. — Be’, mangiamo, eh, ragazza? — Certo, Sam. Insoddisfatto, lui corrugò la fronte. Ma non aveva senso cercare di aggiustare le cose, con il rischio di peggiorarle. Rimase in silenzio mentre entravano in sala da pranzo. Mangiarono senza parlare. O meglio, per essere sincero con se stesso, Joyce osservò che lui mangiava mentre Emily si limitava a giocherellare con una piccola porzione, tenendogli compagnia per pura educazione. Lo stare seduto per venti minuti gli calmò un poco i nervi. E gli fece apprezzare la cortesia di Emily. Spingendo da parte la tazza del caffè, la guardò e sorrise. — Era molto buono. Grazie, Emily. Lei fece un debole sorriso. — Grazie, Sam. Sono contenta che ti sia piaciuto. Purtroppo non era molto. Non avevo in programma… — si interruppe. E così aveva continuato a porsi delle domande sulla sua visita di quella sera. Joyce sorrise gravemente. Ed ora pensava di averlo offeso di nuovo. Era stato piuttosto scontroso per tutta la serata. Si sporse in avanti e le prese la mano. — Va tutto bene, Emily. Dopo aver lavato i piatti, Emily venne a sedersi sul divano, dove lui era adagiato con i piedi su di un cuscino. I polpacci e le caviglie gli dolevano. Finché si muoveva tutto andava bene, ma ogni volta che si sedeva il dolore ricominciava. Le rivolse un pallido sorriso. Sorridendo a sua volta, lei si chinò a massaggiargli in silenzio i polpacci, seguendo i muscoli con le dita. — Emily… — Sì, Sam? — Se… niente, Emily. Non ha molto senso parlarne. — Si sentì combattuto tra il desiderio di parlare con qualcuno e la sensazione impellente che fosse meglio dimenticare quel pomeriggio. Fissò lo sguardo nel vuoto, al di là dei propri piedi. Forse c’era un modo per farle dire quello che lui voleva sapere, senza essere obbligato a raccontarle tutto. Perché era tanto riluttante a parlare di quel pomeriggio? Non lo sapeva con precisione; ma non riusciva a decidersi proprio come non avrebbe potuto discutere di qualche difetto di carattere scoperto per caso in una signora o in un gentiluomo. — Che altro hanno detto alla radio? — chiese senza enfasi particolare: — di Nyack. — Niente, Sam, solo i risultati. Lui grugnì deluso. Forse c’era un sistema migliore per affrontare la cosa. — Emily, supponiamo… supponiamo che qualcuno ti parli di una causa riguardante una ragazza del popolo e un uomo di una famiglia. Supponi che questa ragazza si avvicini all’uomo in mezzo alla strada e gli si rivolga chiamandolo per nome. Si interruppe, a disagio. — Sì, Sam? — Uh… be’, che cosa penseresti? Le mani di Emily si fermarono per un attimo, poi ricominciarono a lavorare sui suoi polpacci. — Che cosa dovrei pensare? — chiese a voce bassa guardando il pavimento. — Penserei che è stata molto sciocca. Joyce fece una smorfia. Non era questo che voleva. Ma sapeva ciò che voleva da lei? Qual era la risposta che stava cercando? Provò di nuovo. — Sì, certo. Ma a parte quello, che altro? Vide che Emily si mordeva un labbro. — Ho paura di non capire cosa vuoi dire, Sam. Una punta di rabbia riaffiorò nella voce di Joyce: — Tu non sei così poco intelligente, Emily. Lei respirò profondamente e lo guardò. — Sam, qualcosa di molto grave è accaduto oggi, vero? Molto grave. Eri terribilmente agitato quando sei arrivato… — Agitato? Non mi sembra — la interruppe lui in fretta. — Sam, sono la tua amante da quindici anni. Joyce sapeva che la sua espressione lo tradiva. Con quei suoi lampi di acutezza, lei riusciva sempre a colpire nel segno: metteva il dito esattamente sul punto vulnerabile, disarmandolo ed impedendogli di fingere. Lui sospirò e allargò le braccia con un gesto rassegnato. — D’accordo, Emily. Sì, sono agitato. — L’irritazione riaffiorò. — È per questo che cerco il tuo aiuto, non essere evasiva. Emily si raddrizzò, togliendo le mani dalle sue gambe doloranti e si girò, fissandolo direttamente negli occhi. Sostenne il suo sguardo senza esitare. — Forse mi chiedi troppo. E forse no. Questo è importante, vero? Non ti ho mai visto così turbato. Lui si accorse che era tesa. Tesa e apprensiva. Ma vide anche che aveva deciso di continuare, a dispetto dei propri dubbi. — Sì — ammise lui, — è importante. — Molto bene. Vuoi sapere che cosa ne penso della ragazza? Dimmi prima che cosa ne pensi tu. Credi che l’abbia fatto per disprezzo, per malizia o seguendo un impulso? Joyce scosse il capo. — No di certo. Era innamorata di lui e si è dimenticata del proprio ruolo. All’improvviso negli occhi di Emily apparve una traccia di lacrime. Joyce la fissò, sorpreso, per pochi secondi, prima che lei passasse una mano sugli occhi, con un gesto seccato. — E allora? — chiese sottovoce. — Ho paura di essere io a non capire, questa volta — disse lui dopo un attimo. Corrugò la fronte. Dove stava andando a parare? — Che cosa mi distingue da quella ragazza, Sam? Qualche anno di più? Che cosa ti aspetti che io pensi? — Non è affatto la stessa cosa, Emily! — ribatté lui con rabbia sincera. — Tu… Tu sei una donna matura. Noi siamo… Non riusciva ad indicare la differenza, ma sapeva che c’era. Lei non aveva mai fatto o detto nulla… — Emily, tu sai perfettamente che non faresti mai quello che ha fatto quella ragazza! — Solo perché io sono più conscia delle regole — rispose lei a bassa voce. — Che differenza c’è in realtà tra me e quella ragazza? Forse perché si tratta di noi due, e non di altri, una delle tante coppie che conosciamo. Che cosa ci rende diversi ai tuoi occhi? Il fatto che non siamo un caso che tu devi giudicare? — Emily, questo è ridicolo! Lei scosse lentamente il capo. — Quella ragazza ha infranto la legge; io no. Ma non l’ho fatto perché fin dal principio ho capito che mi sarei ritrovata a camminare su di un filo per tutto il resto della nostra vita. Ora non potrei lasciarti per tornare tra il popolo; mi sono abituata a vivere così. Ma non sarò mai più ciò che ero quando sono nata. «Supponiamo che io sia un membro del popolo, un meccanico, o forse anche un ingegnere, legato a qualche famiglia. Saprei che tutta la mia abilità ed il mio addestramento non mi servirebbero a nulla se venissi accusata di qualche crimine da un tribunale. Saprei che chiamare per nome in pubblico il mio protettore sarebbe un crimine… un crimine diverso da quello che commetterei se io fossi l’amante del mio protettore, certo, ma sempre un crimine. Poniamo il caso che, come ingegnere io non tenessi conto della volontà del mio protettore riguardo alle caratteristiche di un certo prodotto da lui fabbricato. O che io tentassi di modificare un prodotto o di svilupparne uno nuovo senza prima aver ottenuto la sua approvazione e i suoi suggerimenti; da un punto di vista legale questo sarebbe analogo a quello che ha fatto la ragazza, no? — Certo, ed è giusto che lo sia — replicò Joyce. Emily lo guardò, e annuì lentamente, poi proseguì: — Se io fossi quell’ingegnere ed avessi un po’ di buon senso, sarei sempre consapevole della differenza tra me e il mio protettore. Ricorderei ogni giorno a me stessa che egli è nato in una famiglia e che gli viene concesso il sacramento del matrimonio con una signora, se lo desidera. Capirei che gli ingegneri sono membri del popolo, mentre il mio protettore è un membro di una delle Prime Famiglie, oppure un Legislatore o un Giudice. Starei sempre molto attento a rispettare le nostre differenze, accettando il destino che mi ha fatto nascere tra il popolo, mentre lui in una famiglia. Joyce corrugò la fronte. — Con questo sembra che tu consideri la nascita come un fatto puramente casuale. Emily lo guardò senza parlare poi fece un profondo respiro. — Essendo una persona intelligente, io, come quell’ingegnere, attribuirei la mia posizione di nascita ai desideri del Messire. Non mi sentirai pronunciare eresie, Sam. — Si sporse, e gli prese la mano. — Ecco perché ti ripeto che quella ragazza di Nyack è stata sciocca. Quello era il caso di Nyack, non è vero? Lei ha fatto quello che nessuno di noi, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, penserebbe mai di fare. Di sicuro ha fatto quello che io non farei mai, ma d’altra parte io sono più vecchia di lei. Ero più vecchia quando venni da te, o almeno lo presumo, dal momento che l’hai definita una ragazza. Si morse le labbra nervosamente. — I giovani innamorati non sono necessariamente saggi, proprio come chi si arrabbia non agisce in modo logico. Chi può dire quale debba essere la loro punizione? — Qualcuno c’è — rispose Joyce con decisione. Emily annuì, guardandolo con espressione assorta. Poi disse all’improvviso: — Sam, ti sei mai guardato davvero allo specchio? Non per controllare se sei ben rasato o se la tua parrucca è a posto prima di un processo, ma solo per guardare te stesso. Joyce non riuscì a capire questa nuova linea di pensiero. — Lo sai che hai un viso molto giovane, Sam? Sotto quell’ombra scura della barba, senza quel cipiglio, hai il viso di un adolescente turbato. Hai imparato la dignità e ti sei appesantito, ma sei ancora un ragazzo che cerca la chiave che permetterà al mondo di girare per sempre con la stessa precisione. Forse credi di averla trovata? Tu credi in quello che fai. Tu credi che la giustizia sia la cosa più importante al mondo. Quello che fai lo intendi come una crociata. In te non c’è cattiveria gratuita o crudeltà. Non credo di averti mai visto fare qualcosa solamente per te stesso. «Io ti amo per questo, Sam. Ma a parte qualche momento in cui sei con me, tu sei immerso completamente nel tuo ideale, e sei giunto ad ignorare completamente Sam Joyce. Tu sei in ogni momento il Signor Giudice Joyce. Gli strinse la mano tra le sue. — Oggi pomeriggio è successo qualcosa, e temo si sia trattato di un fatto estremamente grave. Sei venuto da me dopo aver affrontato un Imputato disarmato, una ragazza, giovane e inesperta, ma c’è una fasciatura sul tuo braccio e, sotto di essa, probabilmente il foro di un proiettile. Io non so che cos’è succeso. Ma so che c’è il silenzio stampa sui fatti di Nyack. «Sam, se il sistema è stato sfidato, allora tu sei in grave pericolo. Altri uomini non sono come te… Gli altri uomini, uomini del popolo e delle famiglie, agiscono per rabbia o paura, o amore. Se fanno a pezzi il tuo mondo e il tuo ideale… — Fare a pezzi! — … se fanno a pezzi quello a cui tu hai dedicato la tua vita, per te non ci sarà più nulla. Se il sistema crolla, porterà con sé il sangue del Giudice Joyce, e solo io so dove vive quel minuscolo frammento chiamato Sam Joyce. E non basterebbe. — Emily, stai davvero esagerando. Emily gli strinse la mano. Con sua enorme sorpresa, vide che lei aveva chiuso gli occhi per non piangere, ma lacrime silenziose le scorrevano ugualmente lungo le guance. — Tu sei venuto da me in cerca di aiuto, ma anch’io faccio parte del mondo, e devo vivere secondo le regole. Dopo tutti questi anni, vuoi sapere se hai agito bene e dovrei essere io a dirtelo. «Ti ho detto che per me quella ragazza è stata sciocca. Sam, io ti amo, ma non so darti una risposta. Te l’ho detto: da me non sentirai nessuna eresia. La notte aveva lentamente lasciato il posto all’alba. Joyce rimase a fissarla attraverso la finestra accanto al letto. Non sapeva se Emily fosse davvero riuscita ad addormentarsi. Era sdraiata immobile, come lo era stata per tutta la notte. A Joyce bruciavano gli occhi ed i corti capelli grigi erano bagnati di sudore. Non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte. Il braccio andava molto meglio quella mattina, ma lui ricordava ancora l’impatto del proiettile. Se, come era doveroso credere, Il Messire vedeva ogni azione umana, conosceva ogni pensiero ed era la causa di ogni evento umano, allora che cosa aveva voluto dire a Nyack? Se la sentenza era giusta, perché Il Messire aveva permesso che lei sparasse quel colpo? Perché chi le aveva gettato l’arma non era stato fermato prima che potesse farlo? Se la sentenza era ingiusta, perché lei non lo aveva ucciso? Forse Il Messire approvava Joyce ma non le basi su cui fondava il suo giudizio? Ma le sue basi erano la Legge ed era stato Il Messire a trasmettere la Legge! O forse, come aveva detto Kallimer, Il Messire non era come Joyce lo concepiva? Che cosa pensava Emily? Ricordò a se stesso che quello che pensava Emily era irrilevante, come lei stessa si era più volte data la pena di ricordargli la sera precedente. Non era la sua opinione a determinare la falsità o la verità della giustizia. La giustizia era un valore assoluto; o era giusta, non importa quale fosse l’opinione del genere umano, o era inutile. Forse, come Kallimer aveva detto malignamente, Il Messire stava cercando di fargli capire qualcosa? Che cosa? Che cosa aveva voluto dire a Nyack? Joyce rimase sdraiato sul letto, sfinito, Si rendeva conto di pensare in maniera incoerente. Aveva riflettuto più volte sul problema, cercando un filo logico, ma non era approdato a nulla. Non era in grado di ragionare in modo corretto. Si augurava solo di potersi comportare saggiamente all’udienza di quel pomeriggio. Scivolò con cautela fuori dal letto, fermandosi ad ogni fruscio delle lenzuola. Poi si vestì in fretta ed uscì dall’appartamento cercando di fare meno rumore possibile. Non voleva che Emily si svegliasse e lo vedesse in quelle condizioni. Entrò nell’aula delle udienze con passo misurato, sperando che nessuno notasse il suo sconvolgimento interiore. Se un Giudice Capo mostrava agitazione, che cosa ci si poteva attendere dai Giudici minori? Anche questo faceva parte del compito e il giovane ed ambizioso Giudice di Utica non l’aveva certo potuto immaginare, proprio come, durante la difficile ascesa ai vertici della professione, non avrebbe mai potuto intuire quanto sarebbe stato difficile un giorno varcare una soglia con passo fermo mentre le gambe e le caviglie indolenzite lo costringevano ad un’andatura strascicata. Vide che la tensione agitava tutti i presenti. Nessuno sedeva tranquillo, in attesa che cominciasse l’udienza. Vi erano dappertutto capannelli di uomini che parlavano con vivacità, con continui spostamenti da un gruppo all’altro. Joyce assunse un’espressione seccata, e fece un breve cenno del capo mentre tutte le teste si voltavano verso di lui. Si guardò intorno alla ricerca di Joshua Normandy, ma il Presidente dell’Associazione Forense non era ancora arrivato. Vide Kallimer in piedi in disparte, con il suo solito cipiglio, mentre stava conversando con Pedersen, pallidissimo in viso. Joyce si avvicinò ai due. Non aveva ancora deciso come comportarsi con Kallimer. Quell’uomo era arrogante. Sembrava che provasse molto gusto a parlare in termini che Joyce non era in grado di capire. Ma era un uomo intelligente ed ambizioso. La sua ambizione lo avrebbe portato a difendere gli stessi principi che difendeva Joyce, e la sua intelligenza ne avrebbe fatto un superbo Giudice Capo quando Joyce se ne fosse andato. Alla luce di queste riflessioni, Joyce era incline a sorvolare sul discutibile comportamento del giorno prima. Forse, dopo tutto, Kallimer aveva avuto ragione nel chiedergli di riconsiderare il verdetto. Ancora una volta fu dolorosamente consapevole della sua incapacità di farsi un’opinione precisa sugli avvenimenti del giorno prima. Si fermò di fronte a Kallimer e Pedersen scrollando leggermente il capo e solo in quel momento si rese conto quanto dovesse apparire strano ai due quel gesto. — Buon giorno, Giudice — disse secco Kallimer. Joyce lo scrutò per trovare qualche indicazione del suo stato d’animo, ma non c’era nulla a parte quell’espressione perennemente crucciata. — Buon giorno, Giudici — disse infine. — O forse sono stati confermati i risultati delle elezioni, Legislatore? — chiese a Pedersen. Pedersen aveva il viso tirato. — Sì, signore, i risultati sono stati confermati. Ma io mi sono dimesso. Joyce inarcò le sopracciglia. Ricomponendosi, cercò di sorridere — Allora ritornate al Foro? Pedersen scosse il capo. — No… uh… — disse con voce rauca, — sono qui in veste di testimone per… uh… ieri. — Era mortalmente pallido. Kallimer sorrise gelido. — Il signor Pedersen ha deciso di ritirarsi dalla vita pubblica, Giudice Joyce. Ora considera inadeguato il suo primo tentativo di dissociarsi dal Foro. Joyce spostò lo sguardo da Kallimer a Pederson. Si accorse all’improvviso che il giovane era terrorizzato. — Blanding è morto, sapete? — disse Kallimer senza alcuna inflessione. — Ieri pomeriggio è stato colpito alla testa da un blocchetto di porfido. Le circostanze non sono chiare, ma un membro della Guardia Civile ha dato la notizia. — Kallimer sorrise a Pedersen. — Ed ora, il nostro ex-collega, dal momento che i suoi presentimenti si sono dimostrati corretti, farà presto un viaggio all’estero… nella Confederazione dei Laghi, vero? — Ho dei lontani parenti a St. Paul — confermò brusco Pedersen. — E a Toronto c’è un ramo di famiglia dell’Ontario. Intendo assentarmi per un certo tempo. Un ampio giro. Kallimer continuava a sorridere. — La parola chiave in questa affermazione dovrebbe essere lontano, vero, signor Pedersen? Pedersen arrossì di rabbia, ma Joyce interpretò come rassicurante l’atteggiamento di Kallimer. Voleva dire che la codardia di Pedersen non era un atteggiamento generale. Al momento questo sembrava più importante della notizia della morte di Blanding. La sua mancanza di sbalordimento lo portò a considerare con stupore le proprie reazioni. Era sconvolto al punto che la notizia dell’assassinio di un Giudice non lo toccava? Si era davvero spinto così avanti nell’accettare l’incredibile? Sapeva, o almeno lo sapeva la parte della sua mente governata dalla calma e dalla logica, che prima di ieri si sarebbe considerato un pazzo anche soltanto a pensare che qualcuno potesse attaccare la Legge. Oggi, invece, poteva anche accettarlo. Non con leggerezza, ma riusciva ad accettarlo nonostante tutto. — Siete sicuro dell’informazione, Kallimer? — chiese. Kallimer annuì, guardandolo in modo curioso. — Il testimone è attendibile. Ed ha portato anche l’arma. È un oggetto sconcertante. Vi interesserà. Joyce sollevò educatamente un sopracciglio. — Davvero? — Vide Joshua Normandy entrare nell’aula e fece un cenno in direzione del Presidente. — L’udienza sta per cominciare. Verrà mostrata, naturalmente? Kallimer era decisamente sconcertato dal suo atteggiamento. Joyce teneva il capo eretto e le spalle si erano raddrizzate di colpo. — Sì, naturalmente. — Bene. Vogliamo avviarci ai nostri posti? Buon giorno, signor Pedersen. È stato un piacere averla al banco con me. — Prese il braccio di Kallimer ed insieme si avvicinarono verso il lungo tavolo posto di fronte alle sedie dei Giudici minori. Joyce sapeva quello che gli stava succedendo e la parte calma e imparziale della sua mente, a cui era stato dato qualcosa su cui riflettere, approvava. Era stato preso dal panico. Il giorno prima, a mezzogiorno, le fondamenta della sua logica erano state distrutte. L’integrità dei Giudici e della giustìzia era stata attaccata, e la sua fiducia nel fatto che tutti accettassero la Legge del Messire si era dimostrata errata. Aveva scoperto, in un breve attimo cruciale, che vi erano persone che desideravano deliberatamente attaccare la Legge. Si era trovato in grave imbarazzo. Non aveva precedenti a cui riferirsi per tale crimine, nessuna base su cui giudicare la situazione. Qualcun altro, forse, qualcuno come Kallimer o il Giudice Normandy, avevano le capacità mentali per capire. Ma Joyce sapeva di non essere un uomo brillante. Era solo un uomo onesto e sapeva quello che era al di fuori delle sue capacità. Nell’istante in cui si era fermato a guardare stupefatto l’arma sul selciato della piazza e la ragazza che si lanciava per afferrarla, aveva cessato di essere in grado di valutare la situazione legale e di prendere gli opportuni provvedimenti. Il panico poteva distorcere completamente la capacità di giudizio di un uomo. Era questo che il Messire aveva cercato di fargli capire. Il mondo stava cambiando, e il Giudice Capo non era in grado di affrontare questo cambiamento. Da uomo onesto, di fede sincera, era pronto a cedere le proprie responsabilità e a lasciare che fossero altri più adatti ad assumersele. Fece un cenno al giudice Normandy e agli altri membri dell’Associazione, poi si sedette con calma a fianco di Kallimer, in attesa di vedere che cosa avevano capito della situazione gli uomini più intelligenti di lui. Kallimer stava mostrando l’arma portata da Nyack. Joyce la guardò con curiosità. Era pomeriggio inoltrato ed un buon numero di testimonianze erano già state messe a verbale. Pedersen aveva affermato di essersi accorto di movimenti rabbiosi nella folla quando Joyce aveva estratto l’arma, ma che la pistola era stata lanciata da un individuo sconosciuto prima che si potesse intervenire. Dopo la sparatoria, l’uomo e il gruppo che lo circondava si erano persi tra la folla. La folla stessa era rimasta sconcertata all’inizio, mostrando poi reazioni contrastanti. Nei primi momenti della rivolta non c’erano stati segni di un’azione concertata. Il rappresentante della Guardia Civile aveva testimoniato che, per quel che ne sapeva, lui era l’unico superstite della squadra designata a mantenere l’ordine durante il processo. Si era impadronito dell’arma dopo che l’Imputata l’aveva lasciata cadere ed era corso al quartier generale per chiedere aiuto. La sua impressione era che i primi a rimanere uccisi tra i membri delle famiglie presenti al processo, erano stati vittima dei disordini spontanei scoppiati tra la folla e non di qualche azione premeditata. Il Giudice Kallimer aveva commentato dicendo che anche lui aveva avuto la stessa impressione. Le uniche tracce di un piano organizzato, affermò, erano stati il taglio dei cavi ferroviari fuori da Nyack e l’attacco alla stazione radio, dove l’uomo della famiglia preposto alla sorveglianza aveva fracassato la trasmittente prima che qualcuno potesse impadronirsene. Venne inoltre sottolineata la fedeltà del personale tecnico della stazione. Ora Kallimer disse: — Tenendo presenti le testimonianze precedenti, vorrei richiamare l’attenzione dei giudici sulla costruzione e sulla forma di quest’arma illegale. Joyce si chinò in avanti. C’erano un certo numero di dettagli strani nella pistola, ed egli ne fu subito attratto. — Primo — disse Kallimer, — quest’arma è ovviamente costruita a mano. La struttura è un pezzo di metallo solido, acciaio, secondo il parere di un tecnico competente, che mostra chiaramente i segni di una lima. In più ha una forma piuttosto primitiva. Ha una canna liscia, forata dalla bocca fino all’otturatore ed è congiunta all’otturatore per mezzo di una mortasa che può contenere una cartuccia ed un cane a molla. Altre munizioni sono stivate nel calcio, coperto da una pietra a frizione. Si spara tirando indietro il cane con il pollice e poi rilasciandolo, dopo di che, per poter ancora sparare, bisogna prima rimuovere il bossolo e poi ricaricare. «Un’arma costruita in gran fretta. Un’arma della disperazione, messa insieme da qualcuno che aveva solo poche ore di tempo. Kallimer posò la pistola. — Un’arma inefficiente e inadeguata. Mi dicono che la canna non era neppure stata forata parallelamente all’asse della struttura, e che anche i mirini rudimentali erano storti, rendendo ancor più complicato il problema della mira. È sorprendente che il Giudice Joyce sia stato colpito e non fa meraviglia che l’Imputata non sia riuscita a sparare un secondo colpo. Joyce scosse piano la testa. Era assolutamente ovvio come la ragazza fosse riuscita a colpirlo. Ma Kallimer, con le sue opinioni lievemente eccentriche, non avrebbe certo pensato di tener conto del Messire. Kallimer stava di nuovo parlando. — Ma non è questa la cosa rilevante. È la natura di quest’arma che ci interessa. Ovviamente non è stata costruita da qualcuno particolarmente esperto in questo campo, e il disegno manca completamente di originalità. Non è probabile che vi siano altri esemplari in circolazione. Ne consegue che la ribellione, se posso chiamarla così per il momento, è decisamente ristretta alla… ah… parentela dell’Imputata. Non esiste in effetti alcuna azione organizzata su larga scala. «Abbiamo la testimonianza del signor Pedersen e della Guardia Civile. È ovvio che il piano di colui che ha lanciato l’arma aveva come scopo solo di fornire all’Imputata una pistola. Quello che è seguito è stata una dimostrazione spontanea. Questa, insieme ad altri dati rilevanti già emersi nelle testimonianze, è la base su cui abbiamo fondato il nostro programma di correzione. Kallimer si volse verso il centro del tavolo. — Giudice Normandy. Normandy era un uomo anziano, con i capelli grigi e sopracciglia folte e spioventi. Si alzò sostenendo il proprio peso con le mani, e si sporse in avanti verso i Giudici minori che erano seduti di fronte. Joyce lo osservò con curiosità. Normandy non era mai stato Giudice Capo. Era diventato Primo Giudice Aggiunto sotto Kemple, il Giudice Capo che aveva preceduto quello a cui era subentrato Joyce. Figlio maggiore di una delle Prime Famiglie, Normandy si era ritirato dalla professione attiva diventando prima Cancelliere e poi Presidente dell’Associazione Forense. Aveva ricoperto quella carica più a lungo di quanto Joyce fosse stato Giudice Capo, e doveva avere almeno settant’anni. Joyce si domandò che cosa lui e Kallimer avessero deciso di fare. La voce di Normandy era aspra a causa dell’età. Ogni parola gli usciva a fatica. — Il Giudice Kallimer ha riassunto molto bene i fatti. A Nyack, una ribellione puramente personale contro la Legge ha dato l’avvio ad una dimostrazione spontanea. Avete notato la mancanza di prove che dimostrino l’esistenza di provocatori, a parte i parenti dell’Imputata. Questi non sono altro che carpentieri. C’è stata la parziale adesione di alcuni tecnici, perché ci voleva un minimo di competenza per capire l’importanza di interrompere le comunicazioni. Ma questo è successo solo dopo che lo sconvolgimento emotivo ha avuto la possibilità di diventare contagioso. «C’è aria di ribellione, è vero, ma è appena allo stato embrionale. Non si spargerà, se noi non lo permetteremo, e certo faremo qualsiasi sforzo in questo senso. Entro il pomeriggio di domani tutto sarà tornato normale. «Grazie, Giudici. Quest’udienza è conclusa e il signor Kallimer, il signor Joyce ed io ci tratterremo per un’ulteriore discussione. Joyce osservò i Giudici minori uscire ordinatamente dall’aula delle udienze, molto meno nervosi di quando vi erano entrati. Normandy aveva ridato loro vigore. Anche Joyce si sentiva meglio. Aveva avuto ragione nell’aspettarsi che Kallimer e Normandy avessero pronta una soluzione. Lasciava la Legge in mani capaci. Normandy aspettò che la sala fosse vuota. Poi si voltò verso Kallimer con un’espressione di disgusto. — Be’, ci hanno creduto. Sarei stato più contento se qualcuno di loro non l’avesse fatto. Kallimer alzò le spalle. — Non c’è modo di dirlo. Se qualcuno di loro ha letto fra le righe, è stato abbastanza intelligente da non mostrarlo. Normandy inarcò un sopracciglio, sporse le labbra e dopo un momento sghignazzò: — Questa è una buona osservazione. Joyce li guardò entrambi senza capire. — Debbo presumere — disse alla fine, — che la situazione sia più seria di quanto le notizie divulgate facciano ritenere. — Sentì riaffiorare un po’ della vecchia inquietudine, ma non era certo panico. Normandy e Kallimer si voltarono verso di lui ed entrambi lo guardarono meditabondi. Normandy annuì. — Molto più seria. Ai tecnici c’è voluto un po’ per rendersi conto di quello che stava succedendo, ma hanno preso il comando della ribellione nel giro di un’ora. Adesso sono loro a dirigerla. Abbiamo dovuto bombardare la stazione radio ed impiantare un falsa trasmittente sulla stessa lunghezza d’onda. Sembra probabile che i tecnici avessero già un piano pronto a scattare, ma non in così breve tempo. Sono stati presi un po’ in contropiede. Normandy fece una smorfia. — Non troppo, però. Ci aspettavamo dei guai laggiù, ma non eravamo assolutamente preparati a quello che poi abbiamo scoperto. La Guardia Civile non è in grado di controllare la situazione. Questa mattina ha mandato l’Esercito. Kallimer borbottò. — Lo sapete — disse a Normandy, — che avevo chiesto a Joyce di riconsiderare la sentenza? Normandy spalancò gli occhi. — Davvero? Perché? — Non ci serviva una prova a quel punto. Sentivo odore di guai in quella folla, non c’erano dubbi. Non se ne rendevano conto, ma stavano cercando di scatenare una sommossa. — Scrollò le spalle. — Joyce ha prevalso su di me, naturalmente. Ed è stato un bene, altrimenti non avremmo mai scoperto in tempo quanto fosse ramificato il complotto. Normandy guardò pensoso in lontananza, annuendo fra sé senza quasi muovere il capo. — Sì — sussurrò sottovoce. Guardò intensamente Joyce. — Fino a che punto tutto questo vi colpisce, Giudice? Joyce stava fissando il viso di Kallimer. La sua espressione era diventata pesantemente ironica. — Io… — si interruppe e scrollò le spalle in risposta alla domanda di Normandy. — Non lo so davvero. Ma sono sicuro che siete consapevoli di ciò che fate. — Nonostante tutto era sorpreso. Non riusciva a capire cosa aveva voluto dire Kallimer. Normandy lo scrutò con i suoi occhi neri e penetranti. — Sono sempre stato incerto su di voi — disse con voce pensosa. — Credo di aver scelto saggiamente, ma con individui come voi non si è mai sicuri. — Fece un sorriso in quel suo modo brusco. — Ma a volte un rischio calcolato è giustificato. A volte, solo un uomo onesto può riuscire. La sorpresa di Joyce aumentava. Capiva che Normandy era in quel momento molto più sincero con lui di quanto non lo fosse mai stato. Vagamente, si rese conto che la situazione aveva obbligato Normandy a comportarsi così. Ma se Normandy era stato obbligato a compiere passi drastici, allora che cosa dire della possibilità di Sam Joyce di fronteggiare nella maniera giusta quella crisi? — C’è qualcosa che credo di dovervi dire — si affrettò ad aggiungere Joyce, conscio di essere nuovamente in preda al panico. Doveva dichiarare la propria posizione il più in fretta possibile, prima che Kallimer e Normandy pensassero di poter contare su di lui. — Non… non sono sicuro di aver capito il significato delle vostre parole — continuò, mentre Kallimer e Normandy lo fissavano in modo strano. — Ma c’è qualcosa che dovete sapere. Si fermò per scegliere con cura le parole. Doveva convincere quegli uomini che non stava agendo d’impulso, ma che aveva ben riflettuto. Avevano diritto ad una spiegazione, dopo aver pensato che lui li avrebbe aiutati. Ed era importante anche per lui personalmente. Probabilmente questa era la decisione più importante della sua vita. — Sono stato Giudice Capo per un tempo relativamente lungo — cominciò. Era vero; aveva sempre pensato che Il Messire avesse in lui un buon servitore, e fino a ieri anche il Messire era sembrato d’accordo. Si guardò le mani. — Ho un buon curriculum, ho fatto del mio meglio. «La mia storia la conoscete. Ho cominciato molti anni fa, in un tribunale minore e sono salito un gradino alla volta. Nessuno, quando ero giovane, era più abile con la pistola o nel condurre il rituale del Processo. — Guardò Normandy e Kallimer cercando di capire se lo seguivano. — Sento di essere stato un buon Giudice; di aver servito la Legge del Messire come Lui desiderava. Ma ho sempre saputo di non essere l’uomo più brillante del foro. Non ho consegnato alla storia giudizi famosi e non sono il principe degli avvocati. Semplicemente sono stato… — fece un gesto incerto — Giudice per molto tempo. — Fece una breve pausa. — Ma questo — continuò a voce bassa, — supera le mie capacità. — Abbassò ancora lo sguardo; — So di non essere in grado di fare il mio dovere come si deve in questa circostanza. Voglio dare le dimissioni in favore del Giudice Kallimer. Ci fu un lungo silenzio. Joyce non alzò lo sguardo, ma rimase seduto a riflettere a tutte le cose sciocche che aveva fatto e pensato in quei due giorni. Alla fine sollevò gli occhi e vide l’espressione interrogativa di Normandy. Il viso di Kallimer era assolutamente privo di espressione. Normandy unì le punte delle dita e vi soffiò sopra. — Capisco. — Guardò Kallimer in modo indecifrabile e parve che i due si scambiassero un messaggio silenzioso. Kallimer parlò adagio — Signor Joyce, vi conosco abbastanza per poter dire che questa non è stata una decisione affrettata. Le dispiacerebbe dirmi che cosa vi ha indotto a prenderla? Joyce scosse la testa. — Affatto. Ho deciso che questa è l’unica interpretazione possibile degli avvenimenti di ieri sulla piazza. Mi sembra chiaro che l’intento del Messire fosse proprio di spingermi a fare questo. Normandy sollevò di scatto la testa e fissò Joyce — Che io sia dannato! — esplose. Kallimer fece una smorfia. — Non era certo questo che mi aspettavo dalla nostra conversazione di ieri — mormorò. Guardò Joyce con ammirazione perversa. Poi parlò a Normandy: — Bene, Giudice, eccole il suo uomo onesto. Normandy lanciò a Kallimer un’occhiata acida prima di voltarsi di nuovo verso Joyce. La sua voce era stridente. — Tutto questo è molto bello, ma voi non darete le dimissioni. Almeno non adesso e non in favore di Kallimer. Avete ancora un Processo da presiedere, e Kallimer vuole il mio posto, non il vostro. — Non prima che voi vi siate ritirato, Giudice — intervenne Kallimer rivolgendo a Normandy un sorriso sardonico. — Ho detto chiaramente che non ho nessuna intenzione di competere con voi. Inoltre, io sono in ogni caso il vostro unico erede naturale. — Sogghignò per la prima volta da quando Joyce lo conosceva. — Non ne nascono molti come noi ad ogni generazione, vero Giudice? Joyce sedeva intontito, incapace di dare un senso all’esplosione di Normandy. — Giudice Normandy… — disse alla fine. — Che cosa? — Voi dite che ho ancora un Processo… — Sì! — Ma se Il Messire ha mostrato che non mi considera più competente, il Processo verrebbe pregiudicato… Normandy si alzò di scatto dalla sedia e si allontanò dal tavolo. Lo sguardo era fiammeggiante e gli tremavano le mani. — Accidenti al suo Messire! Non si è intromesso nel vostro ultimo processo, vero? — Signore? Normandy bestemmiò ancora e si voltò. — Kallimer, parlate voi a questo idiota. Io ne ho abbastanza. — Uscì a grandi passi dalla sala delle udienze e sbatté la porta dietro di sé. Kallimer lo guardò uscire mentre un debole sorriso esasperato tingeva la piega divertita della sua bocca. — Sta invecchiando, Joyce — sospirò Kallimer. — Be’, suppongo che verrà il giorno in cui nemmeno io avrò più pazienza. È un piedistallo traballante il suo. Joyce era completamente sconvolto, e sapeva di essere improvvisamente impallidito. Kallimer si rivolse a lui. — C’è stato un aggiornamento nella vostra agenda giudiziaria, — gli disse. — Domani presiederete uno speciale processo di massa contro i tecnici che l’Esercito avrà stanato da Nyack. Saranno incriminati come «membri del popolo». La loro origine non verrà specificata… non ha senso allarmare la nazione, vero? Suppongo che ci sarà una certa varietà di accuse. Le preparerò questa sera. Ma in ciascun caso il verdetto sarà di colpevolezza completa. Voi, io e un paio di altri Giudici ci occuperemo delle esecuzioni. Joyce riuscì a controbattere solo le ultime affermazioni. Stavano succedendo troppe cose. — Un processo di massa? Qui a New York, intendete dire. Per i ribelli di Nyack? Ma è illegale! Kallimer annuì. — E lo sono anche l’incriminazione ingiusta e il verdetto pregiudiziale. Ma lo è pure la ribellione. «Il piano di Normandy è brillante. I ribelli verranno puniti, ma la maggioranza della popolazione non saprà per quale motivo. Soltanto le altre organizzazioni ribelli sparse per il paese si renderanno conto di quello che è successo. Frenerà il loro entusiasmo dandoci il tempo di sradicarle. Joyce guardò il pavimento per nascondere l’espressione del proprio viso. Kallimer non sembrava affatto preoccupato di infrangere lo spirito della Legge. Normandy era ancora più reciso. Era un passo terrificante nella sua logica, ma c’era una sola risposta possibile. Entrambi stavano agendo come se fosse l’uomo a dettare la Legge e sempre l’uomo ad amministrare il verdetto finale; come se non esistesse nessun Messire. Guardò Kallimer, domndandosi se il suo viso rivelasse il vuoto improvviso del suo stomaco. Era come se stesse guardando il Giudice Aggiunto da una grande altezza o dal fondo di una voragine. — Che cosa intendeva dire Normandy con il mio ultimo processo? — chiese a bassa voce. — Prima di tutto, Joyce, ricordatevi che Il Messire è onniscente. Lui conosce molti più crimini di noi. Anche se giudichiamo un caso in modo errato è possibile che tuttavia il nostro verdetto sia giustificato da qualche altro crimine dell’Imputato. Fissò Joyce mentre un pizzico di ansietà gli attraversò il viso; si sporse ancor di più, e quello che prima era stata una sensazione di vuoto, divenne per Joyce un’ondata di disgusto e nausea. — Questo lo accetto — disse Joyce, mentre le parole gli uscivano a fatica dalla bocca. Ma voleva che Kallimer continuasse. Kallimer strinse le spalle. — Forse è così — mormorò. Con un amaro e profondo divertimento che tuttavia egli riuscì a controllare, Joyce comprese l’odio che Kallimer doveva provare nei confronti di Normandy, che gli aveva lasciato questo compito da svolgere. — In ogni caso — continuò Kallimer, — per quello che riguarda la ragazza, il figlio di Normandy era venuto a sapere alcune cose da lei. Molta agitazione a Nyack, chiacchiere, malcontento, cose di questo genere. Lo disse a suo padre. «Non era l’unico luogo in cui sapevamo dell’esistenza di questi fermenti, ma era l’unica traccia in nostro possesso. Fu deciso che un processo, con un membro particolarmente discusso del popolo come Imputato, avrebbe fatto venire a galla il fenomeno, permettendoci così di valutarne l’importanza. Si fermò e scosse il capo. — Ed è stato così. Non avevamo la più pallida idea che fosse così radicato e così vicino ad esplodere. È stato per pura fortuna che l’abbiamo scoperto. Joyce fissò con fermezza Kallimer sperando che il suo viso risultasse calmo. — La ragazza non era colpevole. Kallimer contrasse la bocca; — Non dell’imputazione per cui l’abbiamo processata, no. Il figlio di Normandy l’ha accusata per ordine del padre. Voi siete stato mandato a trattare il caso perché prevedevamo che ci avreste fornito il verdetto che volevamo. Io sono venuto come osservatore. Joyce annuì lentamente. — Credo di capire, ora — disse. Esattamente a mezzogiorno, Samson Joyce era ai piedi degli alti gradini dietro il banco di onice dei Giudici della Città di New York. — Pronto, Giudice? — gli chiese Kallimer. — Sì — rispose Joyce. Rimise la pistola da cerimonia nella fondina decorata. Kallimer lo guardò di nuovo e scosse il capo. — Giudice, se non fossimo in pubblico, vi stringerei la mano. Avete toccato il fondo, ma siete risalito rapidamente. Il labbro inferiore di Joyce si piegò di lato. — Grazie, Giudice — disse, e si preparò a salire i gradini con le gambe indolenzite. Anche Emily era rimasta perplessa quel mattino, mentre lui stava per uscire. — Sam, non ti capisco — aveva detto preoccupata, guardandolo mentre si rialzava con una smorfia di dolore dopo essersi infilato gli stivali. Lui le sorrise, ignorando il dolore alle gambe. — Perché? — Sono due notti che non dormi, ormai. So che ieri è successo qualcosa di nuovo. Lui si chinò a baciarla, continuando a sorridere. — Sam, che cosa c’è? — chiese, con le lacrime agli occhi. — Sei troppo calmo. E non vuoi parlarmi. Lui scosse le spalle. — Forse te ne parlerò più tardi. I gradini gli parvero incredibilmente alti, quel giorno, anche se era abituato a salirli spesso. Raggiunse finalmente il centro del banco e si appoggiò al parapetto. Guardando in basso vide gli Imputati in piedi davanti al banco. Erano stati dati loro nuovi vestiti, cercando di nascondere le fasciature. Erano un gruppo cupo e triste di uomini e di donne. Guardò dall’altra parte della piazza verso i palchi delle Prime Famiglie, affollati dagli uomini di famiglia con le loro signore, affiancati dai palchi delle famiglie minori. La folla era numerosa come al solito, e vi era un duplice schieramento di Guardie Civili. Gli Imputati, le Prime Famiglie, le famiglie minori, il popolo, ed anche alcune delle Guardie Civili stavano tutti guardando lui. Perché anche se oggi un numero maggiore di Giudici avrebbe condotto il Processo con il relativo rituale, Joyce era l’unico ad indossare l’Abito. Quando era tornato da Emily la sera prima, guardando il suo viso calmo, lei gli aveva chiesto che cosa era successo. — Sono stato alla Cappella, dopo l’udienza — le avevo detto, ed ora gli sembrava di essere di nuovo là. Lowery, uno dei Giudici Aggiunti di Manhattan, cominciò a leggere i capi di accusa. Solo in quel momento Joyce si rese conto che c’erano stati gli applausi per lui e i suoi Giudici Aggiunti, e che aveva automaticamente dato ordine a Lowery di procedere. Ascoltò l’eco solenne delle parole nella piazza. Questo era il Processo. Ancora una volta, gli uomini stavano di fronte al Messire e, ancora una volta, i Giudici si sforzavano di agire come veri strumenti della Sua giustizia. Trent’anni di processi l’avevano portato qui, con quell’Abito. In tutto questo periodo, il Messire aveva sempre avuto un’ottima opinione di lui. Ma Kallimer e Normandy avevano piantato l’amaro seme del dubbio nella sua mente, benché lui li conoscesse per quelli che erano, tuttavia il dubbio rimaneva. Se la ragazza era innocente, perché gli era stato permesso di eseguire la sua ingiusta sentenza contro di lei? Kallimer aveva dato una risposta, ma Kallimer gli aveva già dato fin troppo risposte. Fu solo quando si ritrovò nella Cappella, fra tutte quelle candele tremolanti, che capì quale sarebbe stata la prova. Se non c’era nessun Messire (il pensiero lo sconvolgeva, ma vi si aggrappò per amor di ragionamento), allora ogni particella della sua vita era falsa, e l’ideale che aveva servito era solo polvere. Se c’era un Giudice Supremo (e quante volte, in trent’anni allo scoccare di mezzogiorno aveva provato una sensazione di comunione con il suo Giudice), allora Joyce sapeva a chi rivolger il suo appello. Guardò nella piazza, verso il palco di Joshua Normandy, e rifletté che Normandy non poteva nemmeno immaginare l’importanza di ciò che era sotto processo quel giorno. Infilò una mano sotto l’abito e strinse il calcio della sua Grennell. Era la sua arma, Lo aveva servito, come lui aveva servito il Messire; con efficienza, senza domande. Ora veniva la prova; qui, dove gli uomini pregavano il Messire per il supremo, infallibile giudizio. Il Messire conosceva i colpevoli e gli innocenti; puniva gli uni e proteggeva gli altri. Joyce era solo il Suo strumento e il Processo l’occasione perché il Suo giudizio si manifestasse. Sussurrò fra di sé: — Prego perché il mio verdetto sia giusto, ma se non lo fosse, prego affinché la giustizia prevalga in questo processo. — Estrasse la pistola. Si voltò con gesto rapido e sparò in direzione di Kallimer. Sparò attraverso la piazza a Joshua Normandy. Poi cominciò a sparare a casaccio sui palchi delle Prime Famiglie, e vide Normandy cadere a terra, sentì il tonfo del corpo di Kallimer che ruzzolava lungo i gradini, sapendo che, avesse ragione o torto, e qualunque cosa fosse successa ora, il Messire almeno non aveva revocato il suo verdetto. Questa era la Verità per cui era vissuto.